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Io adolescente: il brutto incontro con quell’uomo sul treno, poi dal rassicurante agente Polfer

BRA

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FIORELLA AVALLE NEMOLIS - Gonna a pieghe blu, due magliette, una con manica corta, sopra l'altra con manica lunga abbottonata davanti, rosa cipria: le gemelle, in voga anni sessanta.

Agganciate al fastidioso reggicalze le mie prime calze di nylon tinta mandarino: orrore!

Calzo un paio di scarpine di vernice nere, tacco, il mio primo, a rocchetto appena di tre centimetri.

Una testolina di capelli castano scuri, un po' a cavolfiore, il segno dei bigodi.

Un musetto di bimba tredicenne, su un corpo già di donna, inconsapevole di ciò che significasse mostrarmi donna.

E fu così, che un tardo pomeriggio di novembre del 1960, mi trovai in una angusta stanzetta della polizia ferroviaria, come compagna di viaggio mia sorella Giuliana diciottenne, all'epoca non ancora maggiorenne.

Un viaggio in treno da Genova di ritorno dallo sposalizio di mia cugina Fiorella, sì la mia omonima, la compagna di marachelle nella casa dei nonni a Porto Azzurro, isola d'Elba.

Ebbene, che ci faccio con mia sorella Giuliana di fronte ad un poliziotto che mi fa domande?

Mi mostra su un libro il nudo di una statua greca: “Com'era quell'uomo seduto accanto a te in treno?”

Ignara che nella stanza accanto c'era quell'uomo, che, prima di noi, avevano fatto scendere dal treno.

Ero spaventata perchè mi aveva mostrato i suoi genitali.

Sul treno non dissi nulla a Giuliana per non destare paure i e mi avvicinai alla signora seduta di fronte a noi nello scompartimento, le porsi una caramella: “Signora, le fa piacere?”

Mia sorella mi guardò sbalordita dal mio atteggiamento insolito.

Sottovoce, anzi proprio all'orecchio, come fanno i bimbi, sussurrai: “Ho paura di quell'uomo, mi ha preso la mano, e me l'ha infilata nei suoi pantaloni”.

Da quel momento ricordo solo un gran trambusto nel corridoio del treno. Non capisco cosa stia succedendo. Alla fermata della stazione di Savona, salgono due agenti della polizia ferroviaria, entrano nello scompartimento e portano via quell'uomo.

Giuliana è sbigottita quando uno degli agenti ci dice di seguirlo, ci rassicura. Venite signorine, scendiamo dal treno, dobbiamo solo farvi delle domande.

Giuliana, ignara dell'accaduto, strabuzza gli occhi, non sapendo che avevo chiesto aiuto ad una persona più grande di noi, che aveva avvisato il controllore, chiedendo l'intervento della polizia ferroviaria per proteggerci.

Ed eccomi in questa stanzetta buia, polverosa, con l'odore acre del cherosene, che alimenta la stufa. I vetri appannati e i treni fermi in stazione che mi sembrano fantasmi. Sono qui, a parlare non so bene di che: ho paura a continuare il viaggio con quell'uomo magari sul nostro stesso treno.

“Fiorella, ti chiami così, vero? “Si, sempre chiamata così!”.

Quando sono impaurita, reagisco quasi con l'arroganza.

E Giuliana mi fulmina con un'occhiata, è chiaro il suo messaggio: “Insomma, ti sembra il modo di rispondere ad un poliziotto?”

Allora, Fiorella, - il poliziotto rivolgendosi a me – stai tranquilla, la signora a cui hai chiesto aiuto mi ha raccontato tutto. Ma tu, cosa hai visto?”

Rispondo: “Non so bene, ho raccontato tutto alla signora.”

E mi mostra ancora quella pagina con l'immagine della statua greca. “Hai visto questi?” “No, non li ho visti!”

Aveva compreso benissimo come erano andati i fatti.

“Senti, Fiorella, nell'altra stanza c'è quell'uomo. Te la senti di vederlo per avere un confronto con lui?”

“Che? Un confronto? Perchè?” “Stai calma, non preoccuparti, devi solo dirci se è proprio lui che ti ha fatto “quella cosa”.

“Si, certo che voglio!”

Quell'uomo entra nella stanza, e alle spalle del poliziotto, mi un fa cenno come di preghiera di non parlare, con le mani giunte. Chiede di non riconoscerlo.

“E' lui!” strillo e lo indico col dito. Per essere sicura.

Non ho ancora dimenticato.

Mi dissero poi che quell'uomo era solito fare “quella cosa” sui treni.

La vita è imprevedibile.

Qualche tempo dopo, ferma davanti al passaggio a livello di Bra, vidi un uomo affacciato al finestrino del treno che si fermava in stazione.

Era proprio lui, quell'uomo che mi aveva “fatto quella cosa lì”.

Impossibile dimenticare quel volto di vecchio grinzoso come una tartaruga, con due occhietti pungenti.

Fiorella Avalle Nemolis

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